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    La destinazione del TFR: meglio in azienda o nei fondi complementari?

    Il dibattito sulla destinazione del Tfr, il Trattamento di Fine Rapporto dei lavoratori dipendenti, si è posto per la prima volta nel gennaio 2007, quando, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 252/2005, i lavoratori si sono trovati di fronte alla scelta se lasciare il Tfr in azienda oppure investirlo in un fondo pensione negoziale.
    Non esiste certezza assoluta su quale sia la scelta migliore tra l’accantonamento in azienda o la destinazione a fondi complementari. Sono molte infatti le variabili che influiscono sulla valutazione di convenienza, senza considerare che i fondi complementari presentano costi di gestione e sono caratterizzati da rendimenti volatili, strettamente dipendenti dall’andamento dei  mercati finanziari.
    Uno dei parametri maggiormente presi in considerazione nella scelta della destinazione è il trattamento fiscale e le relative agevolazioni previste per coloro i quali investono il proprio Tfr nei fondi pensione complementari.
    Tuttavia, analizzando i dati storici degli ultimi 15 anni, quelle categorie di lavoratori che hanno la facoltà di aderire ai fondi pensione negoziali, la scelta più conveniente (per orizzonti temporali lunghi di investimento) è stata quella del fondo pensione chiuso, poiché con rendimenti più elevati rispetto alla mera rivalutazione del Tfr. Quest’ultimo infatti, recupera solo parte dell’inflazione ed ha limitati vantaggi fiscali. I fondi chiusi invece, presentano sostanziali agevolazioni fiscali, costi di gestione molti bassi e rendimenti in media stabilmente superiori alla rivalutazione del Tfr.
    Coloro che invece non possono versare il proprio Tfr ai fondi chiusi, poiché non appartengono alle categorie interessate o poiché non è stato predisposto un fondo pensione aziendale si trovano di fronte ad una decisione difficile. Ad essi è infatti preclusa l’adesione ai fondi chiusi e pertanto la loro scelta si riduce al confronto tra fondi pensione aperti o PIP e Tfr in azienda.
    Scegliere di lasciare il proprio Tfr in azienda o no, aderendo ad un fondo pensione aperto, richiede quindi una valutazione particolarmente complessa e delle approfondite conoscenze in materia economica, finanziaria e normativa.

    Sinteticamente si possono cosi riassumere e confrontare i pro e i contro di entrambe le scelte.

    I pro dei fondi pensione complementari sono:

    • opportunità di partecipare al rialzo dei mercati, quindi possibile aumento dei risparmi oltre la formula fissa del Tfr;
    • deducibilità fiscale fino ad un importo massimo di 5.165,57€ annuale;
    • trattamento fiscale agevolato delle prestazioni pensionistiche attraverso una ritenuta a titolo d’imposta pari al 15%, con una riduzione dello 0,3% per ogni anno di partecipazione dopo il 15esimo (con un minimo del 9%);
    • diversificazione degli investimenti con conseguente riduzione del rischio;
    • i contributi del datore di lavoro; ricordiamo che al montante dei fondi pensione contribuiscono non solo il trattamento di fine rapporto, ma anche il contributo volontario del lavoratore e il conseguente contributo del datore di lavoro, che è tenuto a erogare – in base agli accordi collettivi – solo se il lavoratore opta effettivamente per il versamento di un contributo volontario. Questa contribuzione andrebbe perduta se il lavoratore decidesse di mantenere il Tfr in azienda; 
    •  solidità: aiutano i risparmiatori a superare le situazioni difficili lasciando integra la possibilità di ottenere anticipazioni in qualunque momento per far fronte alle proprie esigenze personali e familiari (senza bisogno di specificarle), con la circostanza che l’importo anticipabile riguarderà, oltre al Tfr, anche il proprio contributo, quello del datore di lavoro e i rendimenti conseguiti.

    I contro dei fondi pensione sono:

    • Rischio di mercato: i proventi possono aumentare o diminuire, a seconda dell’andamento dei mercati; i rendimenti non sono garantiti e vi è un periodico turnover dei gestori; 

    Tuttavia, per calmierare questo problema bisogna dire che il mercato è governato da regole molto severe; inoltre il singolo soggetto è sempre a conoscenza dell’ammontare dei suoi fondi e della loro gestione; Un’altra garanzia posta a tutela del lavoratore è che il patrimonio del fondo è autonomo e separato da quello della società che lo gestisce.
    In base a tale meccanismo, in caso di eventi che pregiudicano o rendono impossibile la continuazione dell’attività del fondo interessato, questo può essere anche sciolto senza che ciò possa compromettere il diritto del partecipante sul montante pensionistico accumulato.
    In tale ipotesi, il partecipante, che si trovi nella fase di accumulo, può ottenerne il riscatto oppure trasferire il capitale accumulato fino a quel momento presso un altro fondo pensione.
    Nell’ipotesi, invece che il partecipante si trovi nella fase di erogazione, e dunque stia percependo la rendita, continuerà a fruire della pensione erogata in questo caso dalla compagnia assicurativa.
    Il rischio finanziario, quindi, è sopportato interamente dai partecipanti.
    Da un punto di vista teorico, a voler essere estremamente pessimisti, si potrebbe persino perdere il capitale investito nei fondi pensione per effetto di una crisi economica; tuttavia l’attività di vigilanza e controllo delle Autorità competenti dovrebbe scongiurare una simile ipotesi, in quanto avrebbero modo di intervenire ancor prima della compromissione del capitale.

    • costi di gestione

    I pro del Tfr lasciato in azienda sono:

    • rendimenti garantiti: tasso di crescita annuo dell’1,5% + 75% del tasso di inflazione.

    I contro del Tfr lasciato in azienda sono:

    • Il tasso di crescita può essere più basso rispetto ai potenziali rendimenti degli investimenti;
    • i lavoratori non possono apportare contributi aggiuntivi;
    • non c’è il contributo del datore di lavoro;
    • Rischio d’azienda, ancorché l’erogazione del Tfr verrebbe garantita dal fondo di garanzia dell’Inps
    • Limiti normativi per la richiesta delle anticipazioni.

    La scelta di convenienza per la destinazione del Tfr non sarà universale per tutti i lavoratori, ma cambierà in base alla posizione individuale di ciascun individuo nonché dalla sua propensione al rischio, legata all’ anzianità contributiva e all’età anagrafica.
    Per i soggetti con un’elevata età anagrafica e anzianità contributiva, la scelta di aderire ad un fondo garantito è resa più conveniente anche per via degli sgravi fiscali; in questa forma e con le modalità previste le differenze tra Tfr e previdenza complementare sono minimizzate poiché i rendimenti risultano comparabili a quelli della rivalutazione del Tfr. La situazione è invece assai differente per chi ha un’età anagrafica molto bassa, pochi anni di anzianità contributiva e non può aderire ai fondi chiusi: i fondi pensione aperti e i PIP rappresentano l’opportunità per questo tipo di aderenti di colmare quel differenziale tra i tassi di sostituzione offerti ad oggi dalla previdenza obbligatoria e quelli che si raggiungeranno in futuro. Nell’obiettivo quindi di ottenere un reddito che consenta la sussistenza o non comporti un radicale quanto difficile cambio nello stile di vita in età avanzata, è necessario operare una scelta ponderata e razionale in merito al fondo aperto o ad un PIP. Nel caso di orizzonti temporale molto lunghi, si avrà la possibilità di investire in comparti progressivamente sempre meno rischiosi, in funzione del tempo mancante al pensionamento, sfruttando prima quei maggiori rendimenti che il mercato (in particolare quello azionario) è in grado di offrire nel lungo periodo, per poi approdare a fondi meno rischiosi e magari con rendimenti garantiti.  

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    scritto da MGS il 25 Luglio, 2019

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